Le polemiche sulla prescrizione

Recenti pronunce giudiziali hanno riacceso l’attenzione mediatiche sull’istituto del reato. Come sempre accade, i mezzi di informazione riportano commenti di soggetti politici, che focalizzando l’attenzione sulla valenza appunto politica della sentenza, tuttavia non centrano il punto giuridico della questione e creano confusione.

Mi pare che il focus vada posto su due aspetti: il primo è quello che una declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, che arrivi all’esito (e non preliminarmente) ad un processo celebratosi interamente, con completa acquisizione probatoria, implica che l’organo giudicante abbia necessariamente valutato l’impossibilità di giungere ad una sentenza assolutoria nel merito. Ciò poichè non è revocabile in dubbio il diritto dell’imputato a vedersi assolvere, anche se il reato è prescritto. Nel caso di specie, perciò, in nessun modo la sentenza di cui parlano le cronache attuali, proprio perchè pronunciata all’esito del dibattimento, può essere intesa come “assoluzione” di merito; ed è facile prevedere che le motiazioni che verranno depositate confermeranno questo fatto.

Altro discorso che merita svolgere è quello generale sull’istituto del prescrizione, che ora è in discussione. Essa, come è noto, è stata in questi anni novellata sia nella durata dei tempi necessari a prescrivere, sia nel meccanismo stesso di calcolo di tali tempi. Io credo che il problema principale non sia tanto quello della lunghezza in sè del tempo per prescrivere un reato, ma innanzitutto quello per giungere a sentenza in tempi ragionevoli. Sarebbe molto utile e nient’affatto scandaloso, io credo, che la prescrizione rimanesse sospesa per tutta la durata della fase processuale (dal rinvio a giudizio alla sentenza) e decorresse solo nei tempi “morti”. Una simile riforma ovviamente dovrebbe essere accompagnata da un contingentamento serio dei tempi di fase cui obbligare il giudice, il quale deve essere però essere messo nella condizione pratica di celebrare il processo in tempi “ragionevoli“, come è richiesto dalla Costituzione e dalla carta dei diritti dell’uomo e come una riforma seria della giustizia italiana dovrebbe finalmente orientarsi.

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