Il rimborso delle spese legali all’imputato assolto: un’occasione persa.

Nella G.U. n° 15 del 20/1/2022 è stato finalmente pubblicato il D.M. contenente disposizioni attuative per chiedere (ottenere è un altro discorso) allo Stato di rimborsare le spese legali di assistenza in caso di processo terminato con assoluzione con formula piena. Tale previsione legislativa fu salutata come vera conquista di civiltà al momento del varo della L. 30/12/2020 n° 178, che all’art. 1, commi 1015-1021, sanciva proprio il diritto dell’imputato assolto a vedersi riconoscere il ristoro delle spese erogate per la propria difesa tecnica. Dopo ben un anno di attesa è oggi dunque possibile capire come in concreto tale diritto possa essere esercitato dal cittadino.

La prima lettura del decreto attuativo lascia stupefatti per la macchinosità e per i requisiti della domanda da presentare al Ministero, da parte dell’interessato, tale da rendere talmente impervia la gestione della procedura da parte di un normale cittadino, che sorge il sospetto di intravedere in questi meccanismi la finalità di disincentivare le richieste. Vediamo con ordine i punti che appaiono più incomprensibili:

a) la produzione delle fatture emesse dal difensore e la prova che le stesse siano state pagate non è sufficiente: occorre anche che tali fatture risultino vistate dall’Ordine di appartenenza dell’avvocato per certificarne la congruitaà. La prima domanda che sorge è: nel caso di preventivo concordato tra avvocato e clinete all’inizio del procedimento e, come tale, vincolante per le parti, a che titolo si dovrà pronunciare l’Ordine in merito ad una congruità fondata, all’evidenza, sulle Tariffe ministeriali? La previsione, oltre a porre a carico del richiedente un ulteriore onere anche economico (i diritti da versare all’Ordine per tale visto), risulta anche eccessivo rispetto alla finalità di prevenire richieste esose di rimborso, atteso il limite massimo previsto in 10.500 euro per l’intero processo!

b) il richiedente dovrà produrre copia conforme della sentenza di assoluzione definitiva, nonchè copia conforme “dell’atto con cui è stata esercitata l’azione penale” (!!!). La previsione è sinceramente sconcertante: in primo luogo per il metodo, laddove si onera il cittadino di munirsi di copie autentiche di atti processuali da formire al Ministero della Giustizia, che ovviamente potrebbe (melius: dovrebbe) procurarseli agevolmente alla fonte. Tale richiesta comporta, come è ovvio, ulteriori oneri economici in termini di rilevanti diritti di copia. Ma ancora: quale senso e quale utilità ha la richiesta dell’atto con cui è stata esercitata l’azione penale, alla luce del fatto che tale circostanza è indubbia, visto che la sentenza che conclude il processo attesta che un processo si è celebrato proprio in conseguenza dell’esercizio dell’azione penale? Tale interrogativo temo debba rimanere senza risposta.

c) ulteriore richiesta a mio parere poco perspicua è quella della produzione di copia della documentazione comprovante il reddito imponibile dichiarato dall’imputato relativo all’anno precedente quello di passaggio in giudicato della sentenza. Sarebbe utile sapere quale rilievo possa mai avere una tale documentazione rispetto ad una domanda di rimborso di spese già effettivamente sostenute! Questo requisito è stato modulato come se si trattasse della disciplina di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ma ovviamente così non è!

Questi mi sembrano i più macroscopici punti dolenti di questo decreto attuativo, sotto il profilo dell’onere di allegazione che si pone a carico del richiedente. Richiedente che – è bene ricordalo – è un cittadino che ha avuto il solo torto di subire un ingiusto processo da parte dello Stato ed ha dovuto, conseguentemente, sostenere esborsi per la difesa tecnica. Una vera conquista di civiltà giuridica imporrebbe che lo Stato risarcisse il costo delle spese legali a semplice richiesta dell’interessato, sulla scorta delle fatture pagate all’avvocato e copia semplice della sentenza assolutoria.

Il quadro, veramente desolante, è completato dalla previsione di un tetto massimo di 10.500 euro di rimborso, qualunque sia stata l’attività defensionale prestata e parcellata, e di una dotazione annua complessiva, a questi fini, di soli 8 milioni di euro (somma che, prima facie, sarà abbondamntemente incapiente rispetto alle richieste) .

L’ennesima riforma deludente, l’ennesima occasione persa dal legislatore!